La crisi del 1973 - Parte I

20/01/09

20/01/09


La guerra arabo-israeliana del giugno 1967 rappresentò la prova della difficoltà americana di far fronte a due guerre convenzionali contemporaneamente (difatti non intervennero nella guerra del Biafra). Vediamo cosa successe durante la pesante crisi petrolifera del 1973.

Nel dicembre 1967 il governo britannico di Harold Wilson compì una svolta strategica di grande portata: del tutto ininfluente nel conflitto di giugno, sfiancata dalla svalutazione della sterlina cui New York aveva negato un prestito salvifico, la Gran Bretagna giunse alla decisione del ritiro da Est di Suez entro il 1971, malgrado la minaccia del presidente Johnson di una rottura strategica con Londra.

A fine anni Sessanta abbiamo la permanenza di un ritmo forte di crescita del capitalismo mondiale (sul 5 % annuo) e il declino relativo delle due superpotenze e della potenza inglese.

Il ritiro della Gran Bretagna da Est di Suez lasciava un vistoso vuoto di potenza nell'area mediorientale, che gli Stati Uniti non potevano colmare e che sollecitò le già vivaci ambizioni delle borghesie nazionali del petrolio. L'OPEC si inserì in questa singolare congiuntura economico-politica, per emergere come la nuova potenza degli anni Settanta.

Il motore di avviamento dell'ascesa dell'OPEC fu nel settembre 1969 il colpo di Stato in Libia del colonnello Muammar Gheddafi, che depose il filo-occidentale re Idris. Il petrolio libico aveva un basso costo di trasporto, non dovendo circumnavigare l'Africa, era di alta qualità e a basso tenore di zolfo. Tra il 1967 e il 1970 la produzione di petrolio libico raddoppiò, arrivando a coprire un quarto del fabbisogno petrolifero dell'Europa occidentale. Il maggiore produttore libico era l'Occidental di Armand Hammer, diventata in poco tempo la sesta compagnia mondiale.

Henry Kissinger, nel secondo volume delle sue memorie, Anni di crisi, 1982, ricorda: "Mentre l'America stava decidendo per la passività, l'Europa decise di assicurarsi con le adulazioni i favori del governante radicale [...] Quattro mesi dopo l'avvento al potere di Gheddafi, la Francia concluse la vendita di cento moderni aerei a reazione alla Libia [...] Relazioni particolarmente amichevoli vennero a determinarsi tra la Libia e la Repubblica Federale Tedesca [...] Le democrazie occidentali non avrebbero protetto i governi amici fino a quando i loro successori radicali [...] non avessero sfidato l'accesso al petrolio delle democrazie stesse".

Nel gennaio 1973, mentre gli Stati Uniti firmavano l'accordo di pace con il Vietnam, si realizzava l'allargamento della Comunità Europea a nove. La sorpresa americana è espressa da Henry Kissinger nel primo volume delle sue memorie, Gli anni della Casa Bianca, 1980: "L'apertura di Brandt all'Est ebbe l'effetto, completamente imprevisto, di spronare l'integrazione dell'Europa occidentale [...] L'ingresso della Gran Bretagna nel MEC permise allo schieramento europeo di ricompattarsi".

L'uscita statunitense dall'avventura vietnamita non mise fine alla crisi politica americana ma ne aprì il capitolo della resa dei conti. Nell'aprile del 1973 scoppiò lo scandalo Watergate, Nixon abolì il contingentamento delle importazioni petrolifere, Kissinger lanciò ufficialmente l'Anno dell'Europa e Sadat iniziò a discutere di guerra insieme al presidente siriano al-Assad. Queste vicende, tutte e quattro, erano destinate a concludersi in modo traumatico.

Gli europei non volevano firmare la nuova Carta Atlantica con un presidente privo di credibilità. Il Watergate (scrive Kissinger in Anni di crisi) determinò "il crollo di un governo che solo poche settimane prima appariva invulnerabile"; il Paese "sembrava colto da uno stato d'animo suicida".


In Giappone il primo ministro Yasuhiro Nakasone proclamò la "diplomazia delle risorse" e una "politica indipendente" in materia di energia: "È finita l'epoca in cui si seguiva alla cieca". Le potenze europee, guidate dal ministro degli Esteri francese Michel Jobert, bocciarono le bozze americane e decisero di interloquire con Washington solo attraverso il presidente di turno dei ministri degli esteri della CEE, il danese Knud Børge Andersen. Nixon, nel luglio 1973, dovette rinunciare al suo viaggio in Europa, toccando il momento più umiliante della sua presidenza, prima dell'impeachment, un anno dopo. Quasi contemporaneamente la Cina rimandò unilateralmente una visita di Kissinger a dopo la fine dei bombardamenti in cambogia.

La reazione al doppio schiaffo da Est e da Ovest fu la nomina di Kissinger a segretario di Stato di fatto plenipotenziario e il colpo di Stato in Cile, nel settembre 1973. Il mondo doveva sapere che l'aquila americana poteva ancora ghermire. Con questa dote di rabbiosa debolezza Washington affrontò la nuova crisi mediorientale.

In Medio Oriente Israele occupava ancora i territori conquistati e il Canale di Suez restava bloccato. Re Faisal dell'Arabia Saudita, nell'estate 1973, avvertì i capi delle compagnie petrolifere USA socie nell'ARAMCO che la situazione stava mutando e che il suo Paese non avrebbe permesso di restare isolato dai "suoi amici arabi" per l'inerzia americana; e minacciò: "Perderete tutto".

A Washington regnava l'apatia, così TEXACO, Chevron e Mobil presero pubblicamente posizione a favore di un cambiamento della politica americana in Medio Oriente. L'Arabia Saudita aveva preso le redini della nuova linea dell'OPEC. Kissinger si oppose a questa nuova linea del cartello economico, definendo la "partecipazione" una "nazionalizzazione strisciante". Si viene così a delineare una duplice politica estera americana, filo-israeliana quella ufficiale, filo-araba quella gestita dalle grandi compagnie petrolifere.

Nell'agosto 1973 Sadat andò a riad per informare il re Feisal che stava preparando la guerra contro Israele e chiedere il suo aiuto. Feisal promise mezzo miliardo di dollari e l'uso dell'arma politica del petrolio. Secondo Yergin, il re chiese una guerra più lunga delle precedenti: "Non vogliamo usare il nostro petrolio in una battaglia che duri due o tre giorni e poi fermarci. Vogliamo una guerra che duri il tempo necessario per mobilitare l'opinione pubblica mondiale".

Anwar Sadat era succeduto a Nasser, morto nel settembre 1970. Secondo Kissinger, la decisione di Sadat di andare in guerra maturò dopo il vertice russo-americano del maggio 1972, il cui comunicato finale ignorava sostanzialmente la questione mediorientale. La prima mossa di Sadat fu, nel luglio 1972, l'espulsione dei 20000 "consiglieri" russi.

Kissinger ne dà due interpretazioni. La prima è di autocompiacimento per un risultato perseguito col rifiuto intransigente, "per principio, a ogni concessione all'Egitto finché Nasser o Sadat adottavano la retorica anti-occidentale, appoggiata dalla presenza di truppe da combattimento sovietiche". La seconda è autocritica: "Interpretammo l'espulsione dei consiglieri sovietici con una certa condiscendenza [...] Non ci venne in mente che forse liberava il terreno in vista di un'azione militare e voleva eliminare ciò che gli sembrava un ostacolo". Sadat era favorevole ad un accordo separato con Israele ma non poteva trattare dalla posizione penosa dello sconfitto e senza il sostegno della Siria e dell'URSS. D'altra parte sapeva di non avere la forza per riconquistare militarmente il Sinai. "Decise quindi di tagliare con la guerra il nodo gordiano", dice Kissinger, ma "il suo scopo era insieme psicologico e diplomatico, molto più che militare [...] Sadat scatenò la guerra non per riconquistare territori ma per restaurare l'amor proprio dell'Egitto aumentandone quindi la flessibilità diplomatica". Raymond Aron commentò su Le Figaro il 10 ottobre: "La non-guerra congelava una situazione inaccettabile, la battaglia rompeva il ghiaccio. Tutto ridiventa possibile".

L'offensiva egiziana fu lanciata il 6 ottobre 1973, giorno della festa ebraica dello Yom Kippur. 220 aerei e 3000 cannoni colpirono le postazioni israeliane sulla sponda orientale del Canale e nel Sinai, mentre contemporaneamente l'aviazione siriana e 700 cannoni attaccavano la frontiera settentrionale di Israele. Alla fine della giornata l'Egitto aveva stabilito una linea su tutta la costa orientale di Suez e Israele era sulla difensiva. "La sorpresa del 6 ottobre", commentò Aron, "è stata una delle più grandi sorprese dei nostri tempi".

Il leader egiziano aveva minacciato più volte di scatenare la guerra e costretto Israele a due costose mobilitazioni senza dare seguito alle minacce. Nel 1973 i segnali di una preparazione militare furono numerosi ma nessuno li prese sul serio.

L'analisi di Kissinger della sorpresa egiziana è una lezione impartita dal politico realista al se stesso razionalista: "Fu un classico di sorpresa strategica e tattica. Ma la sorpresa non può essere spiegata del tutto né dal "rumore di fondo", né dalla dissimulazione. Fu invece dovuta all'errata interpretazione di fatti che tutti potevano vedere, non fu oscurata da informazioni in conflitto. Sadat non fece che ripetere apertamente quel che intendeva fare e noi non gli credemmo. Ci subissò di informazioni lasciandoci trarre le conclusioni sbagliate. Il 6 ottobre fu il momento culminante di un errore di analisi politica da parte delle vittime. Tutte le analisi israeliane (e americane) prima dell'ottobre 1973 concordavano sul fatto che all'Egitto e alla Siria mancavano le capacità militari per riconquistare i territori perduti, con la forza delle armi. Quindi non sarebbe scoppiata nessuna guerra. Gli eserciti arabi avrebbero perduto. Quindi non avrebbero aggredito. Le premesse erano corrette, le conclusioni no [...] Le armate siriane ed egiziane subirono gravi sconfitte. Tuttavia Sadat ottenne l'obiettivo fondamentale di scuotere la convinzione degli Israeliani di essere invincibili e quella degli arabi di essere impotenti, modificando nettamente le basi psicologiche che avevano portato i negoziati a un punto morto".

Il recente annuncio di una prossima iniziativa americana aveva contribuito all'autoinganno.

Si pensò che Sadat avrebbe atteso la diplomazia di Washington. Ma "l'imminenza dei negoziati probabilmente accelerò più che ritardare la sua decisione di aprire le ostilità; non poteva permettersi né che la nostra iniziativa avesse successo, il che avrebbe ipotecato la sua posizione interna, né che fallisse, il che avrebbe minato il nostro interesse di mediare tra le due posizioni".

Da parte loro, gli israeliani in vista dell'iniziativa diplomatica americana, "avevano interesse a sminuire le minacce arabe per evitare che gli Stati Uniti strumentalizzassero il pericolo di guerra come pretesto per ottenere concessioni". "I servizi di informazione avevano fatto fiasco ma non furono i soli a fornire valutazioni errate. Tutti gli uomini di governo erano a conoscenza dei fatti [...] Nella nostra definizione di razionalità non rientrava il concetto di iniziare una guerra impossibile da vincere per recuperare il rispetto di se stessi [...] Il nostro atteggiamento mentale venne reso ancora più evidente il 5 ottobre quando, al risveglio, ci venne comunicata la notizia stupefacente che da 24 ore tutti i sovietici in Egitto e in Siria venivano allontanati con un ponte aereo. È inspiegabile come si sia potuto interpretare erroneamente questo sviluppo [...] Il fallimento non era di ordine amministrativo ma concettuale [...] I governanti non possono nascondersi dietro i loro analisti quando sbagliano [...] Eravamo troppo soddisfatti delle nostre valutazioni. Sapevamo tutto ma capivamo troppo poco. E di questo gli esponenti politici interessati, me compreso, devono assumersi la responsabilità".

La vera sorpresa della guerra venne dopo l'offensiva militare e fu l'uso inedito, per ampiezza e conseguenze, dell'arma petrolifera. La guerra guerreggiata durò venti giorni, quella petrolifera sei mesi e lasciò il suo marchio sull'economia mondiale per tutto il decennio. La doppia guerra dell'anno del Watergate conteneva una crisi politica parziale, quella di Washington, una crisi militare in Medio oriente, una crisi economica parziale, quella petrolifera, ma non una crisi generale dell'imperialismo. Non era in discussione l'equilibrio generale, ma tutte le potenze combatterono attorno a queste tre crisi parziali.