Global warming, Siemens e carbone cinese

03/05/10

03/05/10


A dicembre 2009 c'è stato il Vertice di Copenhagen, seguito ed ampiamente trattato da Dillinger.it, ossia una conferenza dell'ONU sul clima avente il proposito di limitare le emissioni di CO2 entro il 2020.

Se da un lato il voler diminuire fortemente le emissioni di anidride carbonica è cosa giusta e saggia, dall'altro equivale a voler rallentare lo sviluppo cinese. Questa è la chiave politica in cui va letta quella conferenza e che ci aiuta a capire meglio il motivo per cui le vecchie potenze come Europa e Stati Uniti siano oggi ecologiste.

Attorno alla questione del global warming, ossia il surriscaldamento terrestre, gravitano circa cinquecento multinazionali, con interessi economici giganteschi. Tra queste vi è la tedesca Siemens, che con la sua tecnologia aiuta già la Cina nella produzione energetica.

Nella provincia cinese dello Zhejiang, dal 2007 è attiva la centrale della Huaneng Group, impianto a carbone più efficiente del mondo e più avanzato nell'utilizzo della tecnologia "ultrasupercritica" (USC). La potenza di questa nuova centrale è di 4 gigawatt e, grazie alla tecnologia USC, è in grado di rendere il 45 % in più rispetto ad una media del 30 delle centrali USA e cinesi e del 38 di quelle europee. Questo vuol dire incrementare la produttività del 50 % per kilowattora prodotto, con un minore consumo di carbone e drastica riduzione di emissioni di CO2.


Per capire la potenza di questa megacentrale, facciamo un confronto con il Bavaria Solarpark, in Germania, la più grande centrale a pannelli fotovoltaici del mondo. Essa è composta da 60.000 pannelli coprenti un'area di 26 ettari (260 mila metriquadri). La sua potenza è di 10 megawatt (ossia 400 volte meno della centrale a carbone USC), e nell'arco di vent'anni produrrà 215 gigawattora (contro i 22 mila della centrale cinese). In un anno, quindi, la centrale a carbone cinese produce poco più di duemila volte l'energia di quella fotovoltaica tedesca.

Veniamo ai costi. La centrale della Huaneng Group è costata 900 milioni di euro (225 mila euro per megawatt), il Bavaria Solarpark 49.5 milioni di euro (5 milioni di euro per megawatt): il costo unitario della centrale tedesca è 22 volte maggiore di quello dell'impianto cinese.

Gli USA stanno costruendo 151 centrali a carbone, da 90 gigawatt, con un investimento di 145 miliardi di dollari (equivalenti a 1.2 milioni di euro per megawatt).


Dietro a tutto questo c'è la Siemens che, grazie ad una joint-venture con la Shanghai Electric Group, ha costruito le quattro turbine USC per l'impianto a carbone cinese. Esse funzionano a una pressione di 262 bar e a 600 °C (contro i 538 delle precedenti). Le caldaie sono state costruite invece dalla cinese Harbin Boiler Co in joint-venture con la giapponese Mitsubishi Heavy Industries. Per ridurre sprechi di calore e quindi il consumo di carbone, è necessario aumentare temperatura e pressione sulle turbine, ed esse resistono perché costruite con una lega d'acciaio contenente il 20 % di nichel. Le caldaie della centrale si alzano per 90 metri e si allungano di un altro metro e mezzo circa con il calore: questo vuol dire che la componentistica deve resistere all'espansione termica, onde evitare rotture.

I dati di una centrale ultrasupercritica sono positivi anche se confrontati con una centrale nucleare. Basti pensare che il rendimento di queste ultime è, in media, del 33 % (il 12 % in meno della centrale USC) e che la quantità d'acqua utile per raffreddare l'impianto ultrasupercritico è inferiore rispetto a quella utilizzata per una centrale nucleare di terza generazione.

La francese Alstom, diretta concorrente della tedesca Siemens, sta costruendo una turbina da 1.750 megawatt per EdF in Francia: una volta attiva sarà la centrale nucleare più grande del mondo e avrà un rendimento del 36%.

Tornando all'inquinamento, i cinesi sono convinti che esso sia elevato per via delle numerose piccole centrali con potenza inferiore ai 100 megawatt, ed hanno quindi intenzione di sostituirle con impianti ultrasupercritici di 600 o 1.000 megawatt. Tutto questo grazie a joint-ventures tra gruppi europei e cinesi. La General Electric americana, colosso nella costruzione delle turbine a gas, è esclusa dai giochi.

Il problema principale dell'inquinamento cinese non è sulle emissioni pro capite (0.7 tonnellate di CO2 all'anno contro i 5.5 degli USA ed i 2.1 nostrani), ma sui valori assoluti, essendo il Dragone il secondo produttore mondiale di anidride carbonica grazie alla sua demografia.

Da sottolineare, come ultimo, che la vecchia ideologia di massa della paura del nucleare è mutata nella nuova ideologia di massa della paura dei cambiamenti climatici. Ma questa sarà un'altra storia.