Nascita del capitalismo: la crisi del XIV secolo - Parte III

25/01/13

25/01/13


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L'ascesa dei primi tre secoli del millennio finisce improvvisamente alle soglie del Trecento: l'estensione qualitativa delle terre coltivate e le migliorie tecniche introdotte avevano permesso un raddoppio della popolazione. Ma questa continuava ad aumentare mentre mancavano nuove terre da coltivare e la produttività del lavoro non solo non era più in crescita da tempo, ma anzi andava diminuendo per la necessità di mettere a coltura terre sempre meno produttive, oltre che per il progressivo ridursi della fertilità dei terreni dopo secoli di crescente sfruttamento. Si determinarono così le condizioni strutturali per una crisi gravissima, che comincerà con l'aumento del prezzo del grano e con la riduzione dei salari, per essere poi ulteriormente inasprita dalla concomitanza di una serie di altri fattori.


Un secolo, molte crisi

La dinamica demografica dei secoli che vanno dal X al XV ci offre un eccellente indicatore della dinamica economica e sociale, visto che la società dell'epoca non disponeva degli strumenti e nemmeno delle riserve necessarie per fronteggiare le catastrofi. Le crisi si riflettevano, infatti, immediatamente in drastici cali della popolazione, mentre viceversa le epoche di espansione provocavano rapidi aumenti demografici.

Chiediamo ancora aiuto a Carlo Maria Cipolla e al suo libro Storia economica dell'Europa pre-industriale. Secondo le stime si partì da una popolazione europea (Russia e Balcani compresi) che, intorno all'anno Mille, doveva essere di circa 30-35 milioni; tre secoli di espansione portarono l'Europa a circa 80 milioni di abitanti agli inizi del XIV secolo; la crisi del Trecento ridusse la popolazione di circa 25 milioni, che vennero faticosamente recuperati nel corso della ripresa del XV secolo: agli inizi di quello successivo si tornò dunque agli 80 milioni di europei.


Il prezzo del grano cominciò ad aumentare già dalla seconda metà del 1200, e ciò ebbe pesanti ripercussioni sulla vita degli strati più bassi della popolazione. E, proprio nella fase in cui le cose andavano complicandosi, si produsse un drammatico peggioramento del clima: il tempo in Europa divenne instabile ma con una crescente e marcata presenza di inverni freddi ed estati molto piovose. È possibile che questo cambiamento climatico fu il primo segnale della piccola glaciazione che si ebbe nel '600.

Nel maggio del 1315 iniziò un diluvio durato tutta l'estate che distrusse i raccolti, provocò inondazioni e impedì perfino lo svolgersi di alcune campagne militari. Dato che il mercato del grano era già sotto tensione per i motivi citati, accentuati dagli scarsi raccolti di alcune precedenti stagioni, il prezzo del grano schizzò alle stelle e fu la fame nera.

Tutti speravano nel raccolto dell'anno successivo, ma il 1316 fu un altro anno di piogge disastrose: i poveri mangiavano l'erba e le carogne degli animali; dissenteria e disidratazione resero le popolazioni più deboli ed esposte ad ogni tipo di malattia. Molti villaggi scomparvero. Molti piccoli contadini furono costretti a vendere i loro terreni a contadini ricchi, diventando così proletari (fu questa una delle prime manifestazioni della cosiddetta accumulazione originaria di cui parleremo in seguito). Anche l'alimentazione del bestiame divenne un problema e ciò provocò la morte di un gran numero di capi.

Il 1317 e il 1318 continuarono sulla stessa falsariga dei due anni precedenti e la fame dilagò anche nelle città. Solo nel 1319 i raccolti migliorarono, ma ci vollero anni per riportarsi ad una situazione di normalità. Tuttavia il clima, anche nei decenni successivi, rimase instabile e imprevedibile (nonostante non ci fosse ancora l'effetto serra).

Ma non basta: dalla fine del XIII secolo un altro flagello, stavolta frutto dell'ingordigia umana, si abbatté su molte città: la sete di profitto determinò una eccessiva esposizione creditizia da parte di molti banchieri, soprattutto italiani, sia nei confronti di grandi debitori privati, che nella forma del debito pubblico a comuni o Stati: quando questi debitori si trovarono in difficoltà e non furono in grado di onorare i loro debiti, arrivarono una lunga serie di fallimenti bancari che si ripercossero pesantemente sulle piccole economie delle città dell'epoca, anche perché trascinarono spesso nel baratro interi settori produttivi, già in difficoltà per la riduzione dei consumi che la crisi aveva provocato. Una crisi, insomma, di tipo moderno.

Un altro flagello umano che colpì un'altra parte di Europa in quel secolo disgraziato fu la Guerra dei cent'anni, che ebbe conseguenze importanti nella formazione degli Stati nazionali. Come si può dunque facilmente capire, l'altro fattore così spesso ricordato, ossia la famosa peste del 1348, intervenne in una situazione che in Europa era già estremamente pesante.


Le conseguenze della crisi

La crisi e le relative difficoltà contribuirono ad acuire i contrasti di classe e a far emergere con grande evidenza le nuove classi sociali ed i loro interessi contrapposti: ne derivarono scontri particolarmente aspri sia all'interno delle classi, che soprattutto tra le vecchie classi dominanti e le nuove classi emergenti. E tutti gli organismi politici e gli assetti istituzionali dell'epoca furono profondamente segnati, tanto dalle vicende economiche quanto dalle lotte delle classi che si scatenarono. Il quadro, tratteggiato con la consueta maestria durante gli anni di galera in Germania (1916-1918), è di Henri Pirenne: "Niente di più confuso, di più contrastato, di più fuorviante del periodo che va dall'inizio del XIV secolo fin verso la metà del XV. Tutta la società europea, da cima a fondo, pare in fermento. Mentre la Chiesa, travagliata prima di tutto dall'esilio di Avignone, poi dal grande scisma, infine dalla lotta tra i papi e i concili, è scossa dalle convulsioni [...]; mentre la Francia e l'Inghilterra si fronteggiano e l'Impero finisce di sgretolarsi in mezzo alle lotte tra dinastie rivali che si disputano la Germania; mentre l'Italia più spezzata che mai, assomma in sé tutti i tipi di Stato e tutti i generi di politica [...] i popoli sono scossi da rivolte sociali, travagliati da infuocate lotte tra i partiti o in preda a un malessere che si traduce ora in tentativi di riforma, ora nell'oppressione delle classi più deboli da parte delle più potenti. Ovunque regna l'agitazione [...]. Tutte le autorità tradizionali vengono messe in discussione, attaccate: i papi e i re, così come i proprietari terrieri e i capitalisti."


Tre secoli di sviluppo avevano creato nuovi rapporti economico-sociali e nuove forze produttive all'interno della vecchia società, ma il nuovo aveva solo la forza di mostrare i limiti e la crisi del vecchio e non aveva ancora la forza di sostituirlo. La borghesia si andava affermando, ma era ancora essenzialmente figlia del capitale commerciale e usuraio, o del piccolo capitale artigiano: non solo non aveva la forza di distruggere la vecchia società come farà il capitale industriale, ma non aveva nemmeno l'interesse a farlo. Meglio infatti usare la propria forza economica per cercare accordi e compromessi con le vecchie classi dominanti al fine di ottenere quei privilegi e quelle concessioni che significavano affari e profitti lucrosi, oltre a quei titoli nobiliari che aprivano, a mercanti e banchieri, le porte dell'agognato ingresso nell'aristocrazia. Del resto, perfino coloro dalle cui fila usciranno comunque molti dei futuri capitalisti industriali, gli artigiani delle città, mostrano in questa fase propensioni marcatamente conservatrici.

Il capitale commerciale e usuraio, per Marx, può produrre accumulazione di ricchezza ma solo sottraendola ad altri, dato che nel semplice scambio (base del commercio e dell'usura) non vi può essere alcuna produzione di ricchezza. Del resto, dopo lo scambio, il mercante furbo è certamente più ricco ed il mercante sciocco più povero, ma la società nel suo complesso è sempre ricca allo stesso modo. Non a caso Marx definisce la legge del commercio sulla base del principio: comprare a buon mercato e vendere caro. In sostanza, per guadagnare, bisogna sfruttare la debolezza o l'ignoranza o, ancora, le necessità impellenti di venditore e compratore: a conferma possiamo citare il carrying trade feudale, con cui si commerciavano i prodotti di regioni povere in altre regioni povere. Ma questo tipo di commercio declina man mano che l'economia progredisce.

Il passaggio dal modo di produzione feudale a quello capitalistico avviene in due modi: il commerciante si impadronisce direttamente della produzione, oppure il produttore diventa commerciante e capitalista, opponendosi all'economia agricola e al lavoro manuale corporativista dell'industria medievale urbana. Uno è fallimentare, difatti scompare proprio con lo sviluppo capitalistico, mentre il secondo è rivoluzionario e si dimostrò vincente.

La nascita e lo sviluppo del capitalismo a partire dal XVI secolo, richiederà (oltre ad altre condizioni che vedremo in seguito) l'affermazione del capitale industriale che può rendere possibile la trasformazione dei vecchi rapporti di produzione in nuovi rapporti caratterizzati dalla produzione su grande scala con l'impiego di manodopera salariata produttrice di plusvalore ed in nuove forme organizzative come la manifattura. Si tratta di processi che hanno richiesto secoli, che hanno visto balzi in avanti a ripetizione, ma anche battute d'arresto e molti passi indietro, che alla fine hanno prodotto (solo agli inizi del XIX secolo) la nascita della moderna società industriale, in cui l'industria domina e condiziona il commercio e gli altri settori economici.

Tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento, quindi, la condizione di contadini e salariati comincia a peggiorare: l'eccedenza di bocche da sfamare e di forza lavoro nelle campagne come nelle città provoca da un lato l'aumento dei prezzi del grano e dall'altro una tendenza alla riduzione dei salari, insieme ad una disoccupazione crescente. Crisi, guerre ed epidemie sfoltiranno poi i ranghi della forza lavoro e la renderanno una merce scarsa.


Lotte "quasi" di classe

Una delle conseguenze più importanti della crisi del XIV secolo, furono senza dubbio le grandi difficoltà di molti piccoli proprietari che, costretti ad abbandonare la loro terra o a venderla ai grandi proprietari, resero possibile l'accelerazione del processo di concentrazione della proprietà. Prese così l'avvio il decisivo processo della cosiddetta accumulazione originaria, che si intensificherà nei secoli successivi. Ma tali situazioni daranno anche origine a vaste ribellioni e alla creazione dei movimenti politici della borghesia e di quelli politico-sociali delle nuove classi oppresse (salariati delle città e piccola borghesia contadina o urbana).

Le lotte contadine nascevano per via del tentativo della nobiltà di approfittare della crisi per cercare di ristabilire gli antichi diritti feudali: tra il 1324 e il 1328, ad esempio, scoppiò una rivolta nelle Fiandre, che si concluse col massacro di Cassel e con grandi confische di terre contadine. Ci fu anche la cosiddetta jacquerie (da Jacques Bonhomme, termine che in Francia indicava il contadino e da cui deriva la parola jacque - giacca) che, spontanea, infuriò in Francia nel 1357, in piena Guerra dei cent'anni, e che fu contemporanea alla sollevazione dei mercanti parigini guidati da Étienne Marcel (1315-1358). Nel 1381 ci fu anche un'altra grande rivolta anti-fiscale dei contadini inglesi, guidata da Wat Tyler (1341-1381).

Per quanto riguarda, invece, la nascente classe dei proletari, non possiamo non ricordare il celeberrimo esempio dei lavoratori tessili fiorentini del 1378-1382 passato alla storia come il Tumulto dei Ciompi, alla cui testa si mise Michele di Lando (1343-1401).

Michele di Lando in un disegno di Luigi Sabatelli (1772-1850)

La classe dei nobili fu certamente la grande vittima di quel periodo di cambiamenti economico-sociali. Il dilagare dei rapporti monetari, infatti, andava a distruggere l'antico idealismo che giustificava il ruolo sociale del cavaliere: restano le antiche forme, ma quello che interessa, ormai, è solo il feudo e le relative rendite. Quanto al carattere militare della cavalleria, resiste ma diventa sempre più un servizio di tipo mercenario come quello dei soldati di ventura. Lo sviluppo di nuove classi (i contadini indipendenti ridanno slancio alla fanteria), di nuove armi (come la balestra e l'arco lungo), tecniche militari, ma soprattutto di nuove tecnologie come le armi da fuoco che compaiono nel XIV secolo, finiranno col ridimensionare anche il ruolo militare della nobiltà e della cavalleria.