La questione palestinese - Parte II

12/08/13

12/08/13


Prima parte, terza parte

Due credenze da sfatare

Le cause più importanti delle tante guerre che hanno insanguinato la regione, soprattutto nel corso del XX secolo e in questo infuocato inizio del XXI, sono da ricercare nello scontro tra le grandi potenze per la definizione dei rapporti di potenza e per il controllo di una regione di grande importanza strategica, sia dal punto di vista geografico che per le ricchezze petrolifere.

Come spesso succede le classi dominanti di piccoli e grandi Stati, per mobilitare le masse, hanno fatto massiccio ricorso ad armi ideologiche e religiose sedimentate in millenni di storia: ma si è trattato di uso strumentale della religione o di altre ideologie, non certamente di guerre religiose o ideologiche, come molti credono o vorrebbero far credere.

Un altro luogo comune da smentire è quello di ritenere sottosviluppati i Paesi arabi: in realtà il mondo arabo ha conosciuto nel corso del secondo dopoguerra un intenso sviluppo capitalistico. Il PIL di questi Paesi è passato, ad esempio, dai 117 miliardi di dollari del 1950 ai 1154 del 1998, moltiplicandosi per dieci.

Ma lo sviluppo non ha significato pace, come molti pensano: guerre e terrorismo non sono dunque frutto della miseria, ma dello sviluppo. Sviluppo capitalistico significa che, nel mondo arabo, è cresciuto un forte e numeroso proletariato che si contrappone a borghesie, quelle arabe, che sono tra le più reazionarie in assoluto al mondo.

Ciò vale anche per il popolo palestinese, che è diviso in classi sociali esattamente come tutti gli altri popoli al mondo: da un lato la borghesia palestinese con la sua organizzazione politica, l'ANP (Autorità Nazionale Palestinese), sostenuta finanziariamente dalle altre borghesie arabe, oltre che da Europa e Stati Uniti d'America. Dall'altro il proletariato palestinese, forte di centinaia di migliaia di lavoratori sfruttati dalla borghesia israeliana come da quelle arabe: ed è proprio il proletariato palestinese che, insieme ai contadini poveri e al sottoproletariato urbano paga i prezzi più elevati in termini di vite umane, ma anche di drammatiche condizioni di vita a seguito del conflitto israelo-palestinese.


Senza dimenticare i lavoratori israeliani che, se da un lato sono sfruttati e militarizzati per le ambizioni di egemonia regionale della più forte borghesia del Medio Oriente, dall'altro spesso sono vittima del cieco e crudele terrorismo palestinese.

Abbiamo già affrontato brevemente le quattro guerre arabo-israeliane:


e seguirà un articolo di approfondimento sulla spartizione franco-britannica del primo dopoguerra.

Dopo la vittoria di Israele nella prima guerra arabo-israeliana, la maggioranza degli arabi palestinesi era in parte fuggita e in parte stata cacciata, trovando rifugio nei vicini Paesi arabi: questi, tuttavia, si guardarono bene dal rendere possibile l'integrazione dei palestinesi nelle loro società.
Come affermava nel 1951 un dirigente dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione) dei profughi palestinesi "Gli Stati arabi vogliono conservare i palestinesi come una ferita aperta, un affronto alle Nazioni Unite e un'arma contro Israele. Che i profughi vivano o muoiano, i leader arabi se ne infischiano!".


Arafat e l'OLP

Quando, negli anni '50 e '60 Nasser si propose come leader del mondo arabo, cominciò a considerare la possibilità di un migliore uso politico della diaspora palestinese contro Israele. Così nel 1964, sotto agli auspici della Lega Araba, Nasser incaricò Ahmad al-Shuqayri di creare l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP): questa non si poneva allora nemmeno l'obiettivo di creare uno Stato palestinese e, dunque, era poco più di un generico strumento di propaganda.

Intanto, nel 1959 in Kuwait, Yasser Arafat (1929-2004, conosciuto anche come Abu Ammar) ed altri (che si erano conosciuti a Il Cairo nell'ambito dell'Unione degli Studenti Palestinesi) avevano costituito il gruppo al-Fatah ("La Vittoria"), che aveva come obiettivo la lotta armata per la liberazione della Palestina in quanto premessa dell'unità araba. Arafat e i suoi non si aggregarono inizialmente con l'OLP, e il giorno di capodanno del 1965 rivendicarono la loro prima azione terroristica sul suolo israeliano.

La guerra dei Sei giorni rilanciò al-Fatah che divenne sempre più popolare (anche per il declino del nasserismo) e suscitò numerosi emuli: lo stesso Nasser si rese conto dell'opportunità di sostituireal-Shuqayri alla direzione dell'OLP con Arafat, cosa che fece nel 1969.

Yasser Arafat nel 1970

Ma la guerra del 1967 e il controllo israeliano della Cisgiordania e di Gaza avevano cambiato decisamente la situazione in quelle zone: la borghesia israeliana si ritrovò, infatti, nelle condizioni di poter avviare una politica di relativa assimilazione dei palestinesi, con l'obiettivo di disporre della manodopera necessaria a sostenere lo sviluppo economico di Israele, ma anche di avviare un processo di integrazione e di unificazione economica che avrebbe poi potuto estendersi ad altre zone del vasto mercato della regione mediorientale.

Si trattava di una prospettiva che poteva diventare molto pericolosa per i capi degli Stati arabi che temevano la crescente forza economica e capacità d'attrazione di Israele. Ogni Paese arabo cominciò così a servirsi dell'OLP, creando e finanziando proprie organizzazioni terroristiche che agivano sotto la bandiera dell'Organizzazione. Questi gruppi che combattevano Israele in nome del popolo palestinese erano in realtà espressione dell'interesse delle deboli borghesie arabe, che vedevano nell'instabilità della regione lo strumento più efficace per impedire il consolidamento della superiorità economica di Israele. Rappresentando gli interessi contrapposti di varie frazioni e borghesie nazionali, questi gruppi saranno spesso protagonisti di sanguinose lotte intestine.


Lo scontro tra OLP e Giordania

Un'altra conseguenza dell'occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania (1967), era stata la necessità per al-Fatah di spostare in Giordania e nel Libano meridionale i suoi campi di addestramento e le sue basi operative.

Ma il moltiplicarsi degli attacchi a Israele che partivano dalla Giordania e il ruolo crescente dell'OLP in un Paese con una consistente popolazione di origine palestinese, creavano sempre più problemi a re Hussein di Giordania.

Di fronte ai ripetuti rifiuti della dirigenza dell'OLP di rispettare la sovranità giordana e di fronte alle minacce israeliane di ritenere quel Paese responsabile degli attentati terroristici dell'OLP, nel settembre 1970 re Hussein decise di attaccare militarmente e allontanare con la forza l'Organizzazione di Arafat. Si contarono migliaia di morti in quello che fu il "Settembre nero" dei palestinesi.

Cacciati dalla Giordania, molti palestinesi si rifugiarono in altri campi profughi, stavolta prevalentemente in Libano: si trattava di un Paese debole, etnicamente omogeneo ma con un forte frazionamento religioso, e conteso tra vicini più forti (Israele, Siria, Iran, Iraq, Arabia Saudita).


Banditi anche dal Libano

I Paesi arabi nella loro contesa per il Libano potevano giocare sulla presenza di diversi clan armati, che rispondevano a numerosi signori della guerra indigeni in lotta tra loro. La guerra civile libanese prese avvio nel 1975, quando i clan cristiani maroniti chiamarono i siriani in soccorso per limitare l'ingombrante presenza palestinese: gli scontri si allargarono poi a tutto il Libano e per una quindicina d'anni Israele e gli Stati arabi fecero di questo disgraziato Stato il loro campo di battaglia.

Il bilancio fu di decine di migliaia di morti e di immani distruzioni. Nel 1982, cercando di approfittare della presenza siriana, Israele invase il Libano per schiacciare l'OLP.