La macchina a vapore di Watt - Parte II

01/03/14

01/03/14


Prima parte, terza parte

Alla fine del 1682 l'abate francese Jean de Hautefeuille (1647-1724) suggerì di far evaporare l'alcool sotto un pistone in un cilindro, facendolo spostare nell'espansione, per poi condensarlo in modo da creare il vuoto: la pressione atmosferica avrebbe così respinto il pistone indietro.

Vent'anni dopo Thomas Savery (1650-1715), militare e ingegnere minerario inglese, fece un passo decisivo verso la macchina a vapore: con un sistema di valvole introduceva il vapore ottenuto da una caldaia in un cilindro, quindi si immetteva acqua fredda che condensava il vapore e creava il vuoto parziale; con l'apertura successiva delle valvole, il vuoto aspirava l'acqua grazie all'atmosfera esterna, e il cilindro funzionava da pompa.

La macchina di Newcomen

Ma a porre il terzo mattone fondamentale prima di arrivare alla macchina a vapore di Watt, lo pose il fabbro inglese Thomas Newcomen (1663-1729) con l'aiuto di Savery. L'invenzione di Newcomen non venne mai brevettata, lui non si arricchì e, probabilmente è ancora oggi semisconosciuto nel suo stesso Paese.

Nel suo motore del 1712 c'era un cilindro verticale con un pistone, una caldaia forniva il vapore e, quando il cilindro si colmava di vapore, veniva iniettata acqua fredda e si interrompeva contemporaneamente l'afflusso di gas. Con la condensa del vapore si creava il vuoto e la pressione atmosferica spingeva un pistone dentro al cilindro verso il basso. Un braccio di un bilanciere sollevava intanto un peso dalla parte opposta.

Funzionamento della macchina atmosferica di Newcomen del 1712

Il motore a vapore nasce dall'applicazione dello studio del vuoto alla pratica mineraria: non si pensava che fosse il calore del vapore trasformato in lavoro a spostare il pistone, ma la "forza" dell'atmosfera terrestre. Il rendimento della macchina di Newcomen era solo dello 0,7%, il che vuol dire che ogni mille tonnellate di carbone utilizzate, solo 7 servivano per il funzionamento del motore. Ma questo non era un problema, perché, come ci insegna Marx, la scienza è un processo di appropriazione della natura da parte dell'uomo secondo la tecnologia e il modo di produzione storico dato: i concetti sono relativi a quel periodo, e al tempo del fabbro inglese era impensabile il concetto di rendimento come rapporto tra lavoro utile ed energia consumata. Il carbone costava poco e si trovava nella stessa miniera, e la "forza" per spingere il pistone era ottenuta dall'atmosfera che, per le idee dell'epoca, era gratuita e infinita. A quei tempi, inoltre, non poteva essere importante l'inefficienza del processo, perché non esisteva ancora un metro di misura economico o scientifico.

Sadi Carnot e il rendimento

Durante la sua breve vita (morì a soli 36 anni), lo scienziato Sadi Carnot (1796-1832) capì che il funzionamento di un motore termico è sempre accompagnato da un flusso di calore da un corpo a temperatura superiore verso uno a temperatura inferiore, e che l'efficienza del motore dipende dal salto di temperatura del flusso di gas che lo attraversa. L'importanza di questa sua scoperta è pari a quella della gravitazione di Newton o della trasformazione della massa in energia di Einstein.

La teoria di Sadi Carnot portò infatti, con il contributo di Clausius (1822-1888) e Lord Kelvin (William Thomson, 1824-1907), alla scienza termodinamica. La genialità del figlio del militare e scienziato Lazare Carnot (1753-1823) sta nell'aver capito che il rendimento è dipendente dal salto di temperatura e nell'aver ideato un ciclo che dà il massimo rendimento teorico tra due temperature: tra le stesse, nessun altro ciclo, dal Diesel all'Otto, dall'Atkinson al Rankine, può avere un rendimento superiore e tutte le macchine termiche reali, dalle turbine ai motori a combustione interna, hanno un rendimento inferiore.

Da allora la sfida di ingegneri e scienziati è di avvicinarsi a Sadi Carnot. Poiché la temperatura minima inferiore è quella ambientale, la sfida tecnologica è quella di aumentare la temperatura massima. Una turbina a vapore Parsons del 1900 aveva una temperatura di 280 °C e la centrale a carbone in cui era installata aveva un rendimento del 5%. Oggi parliamo di temperature di 700 °C con rendimento della centrale attorno al 50%.

La potenza del motore

Oltre al rendimento, lo sviluppo tecnologico dei motori termici riguarda anche la potenza. Sessant'anni dopo la macchina di Newcomen, l'ingegnere inglese John Smeaton (1724-1792) riuscì a costruire una delle più grandi macchine di Newcomen del Settecento: aveva un rendimento dell'1%, un cilindro dal diametro di 1,32 metri, una corsa del pistone di 2,13, una cilindrata di quasi 3 mila litri, faceva 12 corse al minuto, pesava 81 tonnellate e aveva una potenza di 40 cavalli vapore (ossia una potenza di 0,014 CV per litro di cilindrata). Oggi un automobilista ha a sua disposizione una potenza superiore a quella che aveva un proprietario di miniera del '700. Le turbine a vapore, dalla macchina di Smeaton, hanno aumentato la potenza di 800 volte per unità di peso, mentre il motore a combustione interna ha visto crescere la potenza per unità di volume di ben 4.300 volte.

Macchina di Newcomen elaborata nel 1775 da John Smeaton per la miniera di rame
di Wheal Busy, in Cornovaglia

La macchina di Newcomen fu il primo motore primario realmente di successo a non essere alimentato dal vento, dall'acqua o dall'uomo come lo erano invece i mulini. Per la loro semplicità i motori atmosferici di Newcomen si diffusero rapidamente in tutte le miniere d'Europa e, nonostante la bassa efficienza energetica, nel 1926 erano ancora in uso in alcune miniere inglesi. L'impulso successivo nella trasformazione di questo motore in quello a vapore venne da James Watt, un artigiano costruttore di strumenti matematici per la navigazione e le rilevazioni topografiche.